La Comunità di S.Paolo al Vescovo di Roma sul Gay Pride Day



A Giovanni Paolo II, vescovo di Roma.


Siamo membri della Comunità cristiana di base di S. Paolo in Roma. Ci
induce a scriverTi il pesante intervento del Vaticano e della gerarchia
ecclesiastica cattolica italiana per impedire la celebrazione a Roma,
nell'anno del giubileo, del " World Pride Roma 2000".

Tale interventismo ecclesiastico suscita in noi una profonda sofferenza,
perché lo troviamo totalmente estraneo allo spirito evangelico di amore
liberatore, e coerente invece con lo spirito discriminatorio degli ipocriti
che Gesù denunciò con severità e indignazione.

Riteniamo infatti che se le manifestazioni dell'orgoglio transgender,
lesbico, gay e bisessuale assumono spesso un carattere di sfida alla Chiesa
cattolica, ciò non sia dovuto ad uno spirito pregiudizialmente
anticristiano, ma semplicemente al bisogno, pienamente comprensibile, dei
manifestanti di protestare contro la discriminazione e la persecuzione di
cui sono oggetto da parte della stessa Chiesa e contro le quali, vogliamo
ricordarlo in questo contesto, ha espresso tragicamente la sua protesta
l'omosessuale credente Alfredo Ormando, bruciandosi davanti alla basilica
di S. Pietro.

La formula, poi, "orgoglio omosessuale" non esprime abitualmente un
complesso di superiorità nei confronti degli eterosessuali, ma solo il
rifiuto di nascondere la propria diversità, quasi fosse una colpa o una
patologia, e il desiderio di affermarla pubblicamente e serenamente.

Per altro, anche nell'ipotesi, destituita a nostro giudizio di qualsiasi
fondamento evangelico e teologico, che l'omosessualità e il transgenderismo
fossero in contrasto con l'etica cristiana, consideriamo ingiustificata e
illegittima la pretesa della gerarchia cattolica di imporre la sua etica a
tutta la città di Roma e di restaurare in essa un regime teocratico
persecutorio.

Sarebbe giusto invece che lo spirito di un giubileo, caratterizzato secondo
la tradizione biblica e il progetto di Gesù dall'impegno per la liberazione
degli oppressi, informasse anche l'incontro della Chiesa cattolica con le
nostre sorelle e i nostri fratelli omosessuali.

Tu, Giovanni Paolo, hai riconosciuto pubblicamente e solennemente che in
passato alcuni "figli" della Chiesa cattolica hanno "usato metodi di
violenza per imporre la verità" e hai chiesto perdono per questo. Ebbene
adesso Tu, la diplomazia vaticana e la Conferenza episcopale italiana
tentate di imporre ad un Paese laico e democratico, qual è l'Italia,
l'etica cattolica utilizzando a tale scopo pressioni diplomatiche e
politiche. Eppure Tu, in occasione del giubileo dei migranti, hai
riaffermato solennemente che il razzismo e la discriminazione sono
incompatibili con lo spirito cristiano. Ma come non riconoscere che il
tentativo di impedire la celebrazione del World Pride 2000 a Roma in
concomitanza con il giubileo da Te indetto manifesta una pesante e
perdurante tradizione cattolica di discriminazione?

Accettare la manifestazione dell'orgoglio omosessuale durante il giubileo
sarebbe invece un'occasione straordinaria offerta alla Chiesa cattolica per
riconoscere le sue colpe storiche nella condanna e nella persecuzione di
queste nostre sorelle e fratelli, per accogliere il dono che la loro
diversità sessuale costituisce per l'umanità e per la Chiesa e per
impegnarsi a riflettere in futuro con maggior rigore etico e teologico sui
significati e sulle ricchezze dell'omosessualità. Sarebbe giusto che la
Chiesa cattolica chiedesse finalmente perdono non solo dei suoi peccati
passati ma anche di quelli presenti, anche di quelli commessi durante il
suo anno giubilare.

In occasione della Tua elezione, Giovanni Paolo, suscitasti un'ondata di
simpatia con quella battuta "se sbaglio mi corrigerete". Noi crediamo di
dovere, in questa occasione, accogliere il Tuo invito assumendolo nel suo
significato più ampio come esempio di correzione fraterna.

Fare della festa dell'orgoglio omosessuale un'occasione di riconciliazione
della Chiesa cattolica con gli omosessuali stessi permetterebbe, non solo
di disinnescare la polemica suscitata da questa iniziativa, ma anche di
valorizzarla positivamente nello spirito del giubileo e del Vangelo di Gesù
Questo nuovo atteggiamento della gerarchia romana avrebbe anche un impatto
liberatorio nei confronti di tanti omosessuali credenti, laici, sacerdoti,
vescovi, religiosi e religiose, condannati dalla ideologia ecclesiastica a
vivere la loro condizione con sofferenza e nella clandestinità, e indotti
spesso - perché non dirlo? - a rifugiarsi nell'ipocrisia. Un atteggiamento
simile, nel clima del giubileo, sarebbe percepito come un segno di
conversione non più solo predicata a semplici fedeli ma anche vissuta
dalla gerarchia.

A nostro giudizio, l'asserita sacralità di Roma e il giubileo non saranno
profanati da manifestazioni di orgoglio omosessuale ma ben lo sarebbero da
espressioni di intolleranza della Chiesa cattolica. Perché, alla luce del
Vangelo, l'unica autentica sacralità è quella dell'amore.

In questa festa di Pentecoste noi preghiamo affinché lo Spirito effonda su
di Te e su tutta la Chiesa cristiana i suoi doni di forza, di saggezza e di
coraggio.


La Comunità cristiana di base di S. Paolo - Roma


Roma 11 giugno 2000, festa della Pentecoste





Ritorna alla pagina principale